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LIBRO DECIMOQUINTO 105

gnifico, e talora sguazzatore; il che piaceva a molti, che in secolo sì scorretto non amano imperadore scarso e austero.

XLIX. La congiura non nacque da sua cupidigia, nè saprei dire l'inventore d'impresa tale, seguita da tanti. Prontissimi furono Sobrio Flavio, Tribuno di una coorte di guardia, e Sulpizio Aspro Centurione, come mostrò la loro folle fine. Co' denti la presero Anneo Lucano, perchè Nerone sfatò, e proibì i suoi versi per vana competenza; e Plauzio Laterano, eletto Consolo, non offeso, ma per carità della patria. Fra i primi furono Flavio Scavino e Afranio Quinziano senatori, non tenuti da tanto, Scavino perduto in lussuria e sonno. Quinziano del corpo non peggio che donna, e da Nerone con versi infami vituperato, se ne volea vendicare.

L. Sbuffando adunque tra loro e altri amici, di sì scelerato principe, del cadente imperio, e di trovar chi sostenerlo, tiravan nella congiura Tullio Senocione, Cervario Procolo, Volcazio Ararico, Giulio Tugurino, Munazio Grato, Antonio Natale, Marzio Festo, romani cavalieri; tra i quali Senecione, dimestichissimo di Nerone, andandogli intorno, correva più pericoli. Natale era confidente di Pisone: gli altri speravano nella mutazione. Chiamarono persone di guerra, oltre alli detti, Sobrio e Sulpizio, Granio Silvano, e Stazio Prossimo, Tribuni di due coorti di guardia: Massimo Scauro e Paulo Veneto Centurione; e Fenio Rufo prefetto (che fu l'importanza) di buona vita e fama, scavalcato di guazia al principe, per crudeltà e sporcizie da Tigellino, e caricato di più cose, oltre al farlo credere adultero d'Agrippina, e per lo desiderio di lei inteso alla ven-