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LIBRO DECIMOSESTO 103

lato procuratore; la qual semenza pestifera fu per allora soppressa; ma rinversiva non pure in Giudea, ove nacque il malore, ma in Roma, ove tutte le cose atroci e brutte concorrono e solennizzansi. Furono adunque presi prima i Cristiani scoperti, poi gran turba dinominati da quelli, non come colpevoli nell’incendio, ma come nimici al genere umano. Uccidevanli con ischemi, vestiti di pelle d’animali, perchè i cani gli sbranassero vivi; o crocifissi o arsi, o accesi per torchi a far lume la notte. Nerone a questo spettacolo prestò i suoi orti, e celebrovvi la festa Circense, vestito da cocchiere in sul cocchio, o spettatore tra la plebe. Onde di que’ cattivi, benchè meritevoli d’ogni novissimo supplizio, veniva pietà, non morendo per ben pubblico, ma per bestialità di colui.

XLV. In questo mezzo gli accatti e balzelli sperperavan l’Italia. Vassalli, collegati, città libere in nome, gl’Iddii stessi, non furon esenti da tal rapina: spogliati i templi di Roma; e sconfitto quantunque oro il popol romano per trionfi, preci, allegrezze e timori, già mai consagrò. Per l’Asia e per l’Acaia rapivano, non che i doni, le immagini degl’Iddii, due nostri commessari, Aerato liberto, cima de’ ribaldi, e Carinate Secondo, che aveva qualche lettera greca in bocca, ma nulla bontà nell’animo. Dicevasi che Seneca, per levarsi il carico di questi sacrilegi, supplicò di ritirarsi in villa lontana, e non l’ottenendo, si fermò in camera quasi per la gotta. Alcuni scrivono che Nerone gli fece apparecchiare, il veleno da Cleonico suo liberto; dal quale avvertito: o insospettitone, lo schifò, vivendo di cibi semplici, frutte de’suoi orti, acqua corrente.