Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
LIBRO DECIMOSESTO | 101 |
rioni, ne’ quali è Roma divisa, ne rimanessero quattro intieri, tre spianati, sette in casolari pochi, e arsicci.
XLI. Non è agevole raccorre il numero delle case, isolati e tempj rovinati. Arsero i più revierendi per antichità, consacrati da Servio Tullio alla Luna, da Evandro d’Arcadia a Ercole Presente, col grande Altare; e da Romulo a Giove Statore: il palagio di Numa; il tempio di Vesta con gl’Iddii Penati del popol romano; le spoglie di tante vittorie; i miracoli de’ greci artefici; le opere antiche, e conservate dei grandi intelletti, e molte altre cose, di che i vecchi si ricordavano; impossibili a rifare, benchè in tanta bellezza della città risurgente. Fu osservato che l’arsione cominciò il dì diciannove di luglio, che i Senoni arsero Roma: dall’un fuoco all’altro i medesimi anni, mesi e dì.
XLII. Ma Nerone si servì delle rovine della patria a farvi la casa cotale stupenda, che le gemme e l’oro di miracolo eran niente, rispetto alle campora, selve, laghi, cremi, aperture, vedute, fattevi da Severo e Celere, architettori d’ingegno e ardire da tentar con l’arte cose sopra natura, e beffare le forze del principe, perchè gli promisero di cavare un fosse navigabile dal Lago d’Averno a Ostia, per rive aride e monti, non trovandovisi altre acque che il Lago d’Ufente da voltarvi: il resto con terra asciutta, o massi da non potersi rompere, o non portare il pregio della fatica intollerabile. Nondimeno -Nerone, voglioso delle cose incredibili, si provò a tagliare il monte vicino all’Averno; e sonvi di tal follia i vestigi.
XLIII. Le case di Roma, che la sua non occupò, furon rifatte; e non a vanvera, come dopo l’incen-