Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
100 | DEGLI ANNALI |
dinanzi, o dal lato soprappresi, o fuggiti più oltre, vi trovavano più accesa vampa. Nè sapendo più che si fuggire o cercare, cavalcavan le vie, giacevansi per le campora; alcuni perduto ogni cosa, insin da mangiare per un giorno; altri per non aver potuto i più lor cari trar del fuoco, vi rìmasero volontari; e niuno ardiva aiutare spegnere, minacciando molti che si lasciasse stare, altri vi lanciavano le fiaccole a posta (gridando, così aver ordine) per meglio rubata o per avuto comandamento.
XXXIX. Nerone si stava in Anzio: e non tornò a Roma se non quando il fuoco s’appressava alla sua casa, da lui unita al palazzo e al giardino di Mecenate; ma non fu possibil tenere che non inghiottisse il palazzo e la casa, e quanto v’era d’intorno. Ma per conforto allo spaventato popolo e fuggente, fece aprire Campo Marzio, il Cimiterio di Agrìppa, i giardini suoi; e subiti spedali murare; raccettarvi i poveri, venir masserìzie da Ostia e dalle vicine terre; rinviliò il grano sino a un carlino; le quali cortesie guastò con l’aver, come si disse, cantato in su la scena di casa sua l’incendio di Troia, e agguagliato questo male all’antico.
XL. Il sesto giorno finalmente il fuoco fermò appiè dell’Esquilie, non trovando per le ampissime aperture fatte, se non suolo e aria. Rappiccossi, non essendo passata ancor la paura, con minor danno e morti; per esservi le strade più larghe: rovinò tempj divini e logge fatte per bellezza; e più odioso di questo fuoco secondo, perchè uscì dagli orti Emiliani allora di Tigellino; e perchè Nerone pareva volersi far gloria di rifar la città tutta nuova, e chiamarla dal suo nome. Conciossiachè de’ quattordici