Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
86 | DEGLI ANNALI |
modestia, dicendo: Che l’aveva rifatto consolo; venisse a suo ufficio: e lasciasse ancora, se nulla vi rimanesse da fare, qualche materia di gloria a Druso suo fratello, che fuori di Germania, non ci essendo altra guerra, non poteva conseguir nome d’imperadore, nè corona d’alloro. Germanico non aspettò più; benchè conoscesse questi esser trovati d’invidia per isbarbarlo dal già acquistato splendore.
XXVII. In questo tempo Libone Druso, di casa Scribonia, fu accusato di macchinare novità. Dirò il fatto da capo a piè con diligenza, per essersi trovato allora cosa che per tanti anni divorò la repubblica. Firmio Cato senatore, anima e corpo di Libone, giovane semplice e vano, gonfiandolo dell’aver bisavol Pompeo, zia Scribonia, prima moglie d’Augusto, i Cesari cugini, la casa piena d’immagini, lo indusse a credere a gran promesse di strolaghi, negromanti, e disfinitori dì sogni: a far gran cera1, gran debiti; gli era compagno alle spese e a’ piaceri, per ravvilupparlo in più riscontri di testimoni e servi, che vedevano gli andamenti.
XXVIII. E quando n’ebbe assai, diede di questo caso notizia, e domandò udienza per Flacco Vesculario, cavalier intimo di Tiberio; il quale alla notizia porse orecchi, l’udienza negò; potendo il medesimo Flacco portare i ragionamenti. Intanto onora Libone di pretoria; convitalo: cuopre con viso e parole sua ira, per sapere, anzi che troncare come poteva2,