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LIBRO PRIMO 67

santità. Lo stesso Tevere non vorrebbe senza la corte de’ suoi tributari fiumi correre meno altiero.„ Fusse il pregar delle colonie, o l’opera malagevole o la religione, vinse il parer di Pisone, che niente si mutasse.

LXXIX. A Poppeo Sabino fu raffermato la Mesia, e aggiunto l’Acaia e la Macedonia; usando Tiberio non mutar ministri1; e molti in un esercito, in un reggimento, ne tenne a vita; chi dice, perchè chi gli era piaciuto una volta, volle sempre, per levarsi pensiero: altri per invidia2, acciò quel bene toccasse a pochi: ad alcuni quanto pareva d’ingegno sottile, tanto nel risolvere impacciato, non voleva troppo valenti, temendone: odiava i molti inetti, come vergogna pubblica. Da queste dubbiezze fu condotto infino a dar province a chi e’ non era per lasciar uscir di Roma.

  1. Facevalo (dice Gioseffo, nel 18 cap. dell’Antichità) per non cacciare dalle gamberacce de’ poveri cittadini le mosche già ripiene e satolle, per rimettervi le vote affamate. Tanta carità non poteva muovere Tiberio, che si serviva de’ ministri, come dicono gli scrittori, per sue spugne a cavar il sangue, col vender le grazie, la giustizia, e con le iniquità, da’ popoli, e poi gastigandoli, le premeva. Così arricchiva, e il popolo lo benediva. Conciossiachè egli avrebbe guasta la sua propria arte. Più sode ragioni ne adduce Cornelio qui.
  2. Della natura invidiosa di Tiberio si trovano grandi cose. Notevole è, che avendo in Roma la loggia grande piegato da una banda, un architetto la dirizzò. Tiberio ammirò l’arte e donolli largamente; ma per astio non volle che al libro de’ conti si scrivesse il nome, e cacciollo via fuori di Roma. Tornolli innanzi per racquistar la grazia con altra prova, e gittò in terra una tazza di vetro, ricolse i pezzi e quivi li rappiccò come prima mirabilmente; perciò Tiberio lo fece morire.