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LIBRO PRIMO 65

chi diceva per aver a noia le ragunate1, chi per fantasticheria, e per non far paragone con quel suo viso saturnino, a quel gioviale, che vi portava Augusto; altri (ma non lo posso credere) per fare il figliuolo dal popolo per crudele2 scorgere e odiare.

LXXVII. Le mischie de’ teatri, cominciate l’anno innanzi, vennero a peggio; e vi furon morti non pur de’ plebei, ma de’ soldati e un centurione, e ferito un tribuno di guardia, per voler tener il popolo, che non s’azzuffasse e sparlasse de’ magistrati. Di tale scandolo si trattò in senato: e i pareri erano, che i pretori potessero vergheggiare gli strioni. Aterio Agrippa, tribuno della plebe, disse che no. Asinio Gallo n’ebbe seco parole: e Tiberio taceva, per lasciare al senato in cotali debolezze apparenza di libertà. Valse il no; perchè già aveva il divino Augusto (le cui sentenze Tiberio non poteva toccare) esentati gli strioni dalla verga. Fu loro la mercede tassata, e al troppo corso che avevano preveduto; che in casa commedianti senatore non entrasse; codazzo o cerchio intorno a loro, uscenti in pubblico, romano cavaliere non facesse; nulla fuori di teatro si recitasse; gli spettatori fastidiosi il pretore potesse

    così riscaldati, con temerità e furore e non pensare a pericolo. L’ignoranza veramente è madre dell’ingiustizia; questa è tutto ’l male della città. Ma perchè nell’acqua chiara i pesci fuggono la rete, perchè la veggono, la torbida fa per chi li vuol pigliare e mangiare.

  1. Volendo Tiberio cibare una serpe ch’ei teneva per delizia, la trovò mangiata dalle formiche. Gl’indovini gli dissero che si guardasse dalla moltitudine: però la fuggiva.
  2. Da questo Druso chiamavano Drusiane le spade ben affilate e crudelmente taglienti.