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64 DEGLI ANNALI

mo, riscrisse: „Provino la povertà al senato„; come quegli che per severità mantenere, eziandìo i benefìcj porgeva1 con acerbezza. E quei vollono anzi patire che mostrare al popolo loro vergogne.

LXXVI. Nel detto anno il Tevere per lo lungo piovere allagò il piano della città; e nel calare grande strage fe’ di case e persone. Asinio Gallo consigliò si vedesse quel ne dicesse la Sibilla. Tiberio non volle, per tenere gli uomini al buio2 delle cose divine, come dell’umane; ma furon deputati Aterio Capitone, e L. Arunzio a’ripàri del fiume. Dolendosi l’Acaia e la Macedonia delle troppe gravezze, piacque d’alleggerirle per allora del viceconsolo e metterle tra’ governi di Cesare. Druso celebrò lo spettacolo già promesso in nome suo e di Germanico, delli accoltellatori: e troppo di quel sangue, benché vile, godeva; onde il popolo ne impaurìo e il padre ne lo sgridò. Non volle egli celebrarlo,

    tavano. Tanta era d’un cittadino romano la grandezza e la necessaria spesa.

  1. Il beneficio si vuol fare con faccia lieta, non villana, nè dispettosa. Perché ingiuria con cortesia non si mescola; ma la guasta e caccia della memoria, e rimanvi essa. Onde al benefìcio ingiurioso ha soddisfatto chi l’ha perdonato.
  2. Tiberio voleva spegnere ogni sapere, odiava gli scienziati o valenti, temendone. E s’ingannava, secondo Aristotile, che dice: i dotti e i savj congiurare contro a’ principi meno degli altri, perché veggono maggiormente i pericoli, e che la città si rovina: sono pochi, e pochi gli seguitano e aiutano; dove gl’ignoranti son molti, e sconsiderati, guardano a poche cose, hanno più impeto che consiglio. Ne’ pericoli il pensare appo loro è viltà: il dar entro, atto reale; come dei Parti si dice. Oggi usano gli Uscocchi quando vanno a combattere imbriscarsi pazzamente con l’acquavite, per andarvi,