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60 | DEGLI ANNALI |
dinanze e l’aggirava. Il terreno andò sotto; mare, liti, campi tutt’era acqua: bassa o profonda, sodo o sfondato, non si poteva discernere. Ondate capolevano: gorghi inghiottiscono bestie e salme: attraversansi, urtano corpi affogati: mescolansi le compagnie; con l’acqua, ora a petto, ora a gola, perduto il fondo, sbaragliansi, anniegano. Non giova gridare, non confortarsi; perchè quando il fiotto batteva, dappoco o valente, nuovo o pratico, sorte o consiglio, tanto si era; facendo quella gran violenza d’ogni cosa un viluppo. Vitellio fatto forza, tirò l’esercito all’alto. Assiderarono tutta notte; senza panni da rasciugarsi, senza fuoco, ignudi, infranti, e peggio che in mezzo a’ nimici; ove si può pur morire con qualche gloria, ma quivi con esso niuna. Il giorno scoperse la terra e passarono al fiume Visurgo, ove era venuto Cesare con l’armata, e imbarcò quelle legioni per fama affogale, nè mai credute salve, sì veduto fu egli, e l’esercito ricondotto.
LXXI. Già Stertinio mandato a ricevere a discrezione Semigero, fratel di Segeste, aveva lui e il figliuolo condotto nella città degli Ubj e perdonato a Segimero agevolmente: al giovane più rattenuto, per avere, come si diceva, schernito il corpo di Varo. Gareggiavano a rifare i danni dell’esercito, le Gallie, le Spagne e l’Italia; offerendo arme, cavalli e oro, ciascuna il più destro. Germanico, lodata lor prontezza, prese arme e cavalli per la guerra: i soldati sovvenne de’ danari suoi; e per confortare con le piacevolezze la trista ricordazione della sconfitta, visitava i feriti, magnificava lor prodezze, guardava le plaghe, chi con la speranza, chi con la gloria,