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LIBRO UNDECIMO | 413 |
morire la moglie senza difesa. Dissele che quella sarebbe udita, e potrebbe scolparsi andasse alle sue devozioni.
XXXIX. A queste Claudio parve mutolo, Vitellio stordito; il liberto era il tutto. Fece aprire la casa di Silio, entrarvi l’imepradore. Mostragli prima nell’andito la statua del padre di Silio, già dal senato sbandita; poi, quante spoglie ebber mai i Neroni e i Drusi, essersi date in pagamento delle sue corna. Accesolo d’ira e di maltalento, il mena in campo a parlare a’ soldati che l’aspettavano. Disse poco, imboccato da Narciso: e non poteva per la vergogna esprimere il giusto dolore. Andavano al cielo le grida delle coorti, chiedenti e ’l nome e ’l gastigo dei colpevoli. Silio condotto al tribunale, non tentò difesa, pregò che lo spacciassero. Con la medesima fortezza d’animo sollecitaron gli altri illustri cavalieri romani la morte alla quale furon menati. Tizio Proculo, dato da Silio a Messalina per guardia, e Vezio Valente confessante e offerente nominare altri, e Pompeo Urbico e Saufello Trogo consapevoli e Decio Calpurniano capo delle guardie di notte; e Sulpizio Rufo sopra il festeggiare, e Giunco Virgiliano senatore.
XL. Solo Mnestere la indugiò un poco, perchè stracciatosi i panni gridava: „Guardasse Cesare i segni delle bastonate: ricordassesi quando gli comandò che ubbidisse Messalina. Gli altri aver citato per gran premj o speranze, egli a viva forza: e se Silio regnava, il primo era egli a morire„. Mosso Cesare, per natura tenero, a perdonargli; ma i liberti non vollero che tra tanti grandi uccisi rispettasse un giocolare; per forza o per amore, peccato grandissimo avea. Meno