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406 DEGLI ANNALI

cacciata de’ Tarquini, perchè andassero con l’esercito. Cresciuti i negozi, ne furono aggiunti due per istare in Roma: poi raddoppiati, fatta già tutta Italia tributaria, e aggiunte le gabelle delle province. Indi per legge di Siila ne furon creati venti, per arroti a’senatori, a’ quali soli aveva conceduto il giudicare; e benché i cavalieri l’avessero riavuto, la questura si dava per merito dei chieditori, o per cortesia, senza costo, sino a che la sentenza di Dolabella la mise quasi in vendita.

XXVII. Entrati consoli A. Vitellio e L. Vipsanio, trattandosi di arrogere senatori, e raccomandandosi i grandi della Gallia Comata, già fatti cittadini e confederati romani, di poter goder gli onori della città, innanzi al principe fecesene molto e diverso ragionamento, e garose contese: Non essere Italia sì al verde, che le manchi da rifornire il senato alla sua città: averlo fatto già i naturali del luogo coi popoli parenti e vicini; nè del governo antico poterci dolere; anzi tutto di esempi di quei buon vecchi accenderci a virtù e gloria. Non bastare l’essere in senato balzati gl’Insubri e i Veneti, se gli sciami de’ forestieri non vi corrono, come a presa città? A pochi nobili, che onori poter rimanere? A povero gentiluomo latino chi ne vorrà dare? Inghiottirglisi anzi tutti que’ ricchi, eredi de’ loro avoli e bisavoli, stati capitani de’ nemici ucciditori degli eserciti romani, assediatori del divino Giulio ad Alesia. Queste esser cose fresche: e perchè non ricordarsi che questi son quelli che gittarono il Campidoglio e il romano altare per terra con le lor mani? Godessonsi il nome di cittadini; ma gli splendori de’ Padri, gli onori de’ magistrati non si accomunassono.