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LIBRO UNDECIMO 403

dre non potere vergognarsi, se a’ Romani non ruppe mai quella fede con la quale andò a servirgli di volontà de’ Germani. Bel protesto di libertà pretender questi, che viziosi in privato, perniziosi in pubblico, non posson vivere che di discordie. Il volgo con fremito e baldanza lo favoriva. Fanno battaglia grande i Barbari. Vinse il re; della felicità insuperbì: fu cacciato: rifatto di forze longobarde, con vittorie e rotte travagliava i Cherusci.

XXII. In questo tempo i Cauci, quieti tra loro, e per morte di Sanquinio altieri, venendo Corbulone a trovargli, scorrono nella Germania bassa, sotto Gannasco capitano, di nazione Caninefato, stato lungo tempo tra i nostri aiuti: poi fuggitivo, corseggiava con vascelletti per lo più le costiere de’ Galli, conoscendogli ricchi e poco guerrieri. Entrato Corbulone in provincia, con gran diligenza e sua gloria (che cominciò in quella milizia) condusse le galee per lo Reno: l’altre navi, secondo che atte erano, per fosse e maresi; e nimici vascelli affondò. Cacciò Gannasco: e quietate le cose, le legioni di rubar vaghe, lavorìi nè fatiche non conoscenti, ridusse al costume antico, di non uscir di battaglia: non combattere, non comandare: le poste, le scolte, gli ufici del dì e della notte fare armati. Dicono che punì di morte due soldati perchè zappavano alla trincea, l’uno senz’arme, l’altro col pugnal solo; bestialità, che vere o false, trassero origine dalla severità del capitano, per mostrare quanto ei fusse casoso e spietato nei peccati grandi, lo’ tanto crudo, aspro nei menomi.

XXIII. Questo terrore fece due effetti diversi; accrebbe a’ nostri soldati la virtù, ai Barbari scemò la