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LIBRO UNDECIMO 399

tornato, non senza vergogna dei Parti, da lei sola beffati sett’anni.

XIV. Prese poi le più forti province; e ricoverava l'Armenia, se Vibio Marzo, Legato in Sorìa, non lo ritirava con minacciarli guerra. Gotarze dell’aver ceduto il regno si ripente, richiamandolo la nobiltà, cui nella pace è più duro il servire: fa gente. Bardane, al passar del fiume Erindo, assai lo combatte, e vince; e con felice battaglia piglia tutte la nazioni sino al fiume Gindeno, che divide i Daii dagli Arii. Qui finirono le sue felicità; perchè non piacendo ai Parti, benché vittoriosi, il guerreggiar sì discosto, egli tornò in dietro, rizzatovi trofei e memorie di sua potenza; e come a niuno Arsacido innanzi a lui dato aveano quelle genti tributo, gran gloria, che Io fe’ più feroce, e insopportabile a’ suoi; i quali si unirono, e con ordito inganno, in caccia, lui non sospettante, uccisero giovanetto; ma pochi vecchi re fur sì chiari; se egli avesse stimato il farsi amar dai suoi, come temer dai nimici. La morte di Bardane confuse i Parti, non sappiendo chi farsi re. Molti voleano Gotarze; alcuni Meerdate figliuolo di Fraate, datoci per ostaggio. Vinse Gotarze. Ma entrato in possesso con crudeltà e pompe, forzò i Parti a mandare, segretamente pregandolo, al romano principe che lasciasse venir Meerdate al paterno regno.

XV. La festa de' cent’anni si vide quest’ottocentesimo dopo Roma edificata, e sessantaquattresimo da che la celebrò Augusto. Quello che movesse l’uno e l’altro principe a celebrarla lo narro, appieno nella storia di Domiziano, che la fece anch’egli, e io n’ebbi più briga, trovandomi allora de’ quindici, e pretore. Non lo dico per vanagloria; ma perchè questa era di quel collegio antica cura, e per mano dei