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SUPPLIMENTO AL LIBRO UNDECIMO 393

pazienza, più timor che rispetto all’indegnità. Al proferir in teatro un pantomimo quel del poeta, „Che rabbia un guidone in detta!„ affisaron tutti Polibio; che rispose di trionfo collo stesso poeta: „Anco de’ caprai sono stati re.„ A tanta tracotanza non fe’ mossa Claudio. Ma i comuni voti empiè Messalina; per virtù no, ma per non serbar fede a’ complici stessi, Polibio tolse di mira e uccise, di reo commerzio seco invischiato; uom di merito per letteratura e bell’ingegno, se l’ingenue arti con ontosa fortuna non disonorava.

III. Ma per non disgustar coll’assidue sozzure di Messalina chi legge, narriam di più lieto de’ Britanni. Il ben pubblico a lenti, ma certi passi curato avea Aulo Plauzio sopra mentovato. Indarno fero i Barbari delle sortite per odio a straniero giogo, e fidati alla pratica de’ luoghi; fe’ petto sempre del duce l’accortezza e l’invitta virtù di Vespasiano. Da’ lor sinistri abbattuti, baloccavan essi, e Plauzio coll’arti della pace dilatava il dominio. In tale stato mandossi Ostorio Scapula propretore a compier la felice opera. A Plauzio fu decretato il minor trionfo. Entrando in Roma uscì incontro il principe; e fugli a lato al salire e tornar del Campidoglio; oltra forse l’imperatoria maestà, ma non oltra al merito di Plauzio. A Vespasiano per due fortissime nazioni dome, e resa dell’isola Wight, dièronsi le trionfali.

IV. Ripullulò intanto l’antica peste in Roma del crimenlese, per far bottino, aonestandolo colla salvezza del principe. Molti furo accusati; l’ignobili difese lor bassezza, sulla massima di Claudio: „Non è a far vendetta d’una pulce come d’un leone;„ e qui restò la clemenza; nobili e potenti alla mazza;