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SUPPLIMENTO AL LIBRO DECIMO 387

diletto, di miglior tempi degno. Con pubblica pompa e panegirico celebrossi l’esequie; favore a molti in quell’età accordato; che d’umanità vota, con più zelo n’affettava la tinta.

XXVIII. Volle anch’ei tentar fortuna Asinio Gallo, d’alto legnaggio, ignobil viso, peggior indole. Principe, in sua idea, da acclamarlo tutti sì tosto che vaghezza ne mostrasse; pel chiaror del sangue fessi alla scoperta a mirare al trono. Ma nè oro, nè armi; e sol corrotti avea molti liberti, e schiavi, di Cesare. Non di morte, ch’avrebbe fatto nome all’attentato, ma d’esilio, a più beffe, quel Re di coppe punì Claudio; cui fe’ più onor tal sentenza, che quel suo diluvio di leggi.

XXIX. Con pari loda l’empietà de’ liberti, che contro i padrini della libertà abusassero, e la ferocia de’ padrini, se a torto usassero crudeltà, corresse; che tocco dall’ardir d’un liberto che il padrino accusò a’ tribuni di plebe, e contro lui chiese e ottenne birroviere; lui non solo, e quanti v’ebber mano castigò, ma a schiavitù tornò liberti ingrati, contro cui i padrini fean querela: e a’loro avvocati negò di proferir verso i lor liberti sentenza. I padroni anco aborrendo, che nell’Isola d’Esculapio esponeano l’egri e malsani schiavi, per tedio di curarli; fe’ legge: Fosser liberi tutti l’esposti, nè tornassero in balìa de’ padroni se guarivano: e chi in vece d’esporre, uccidea, fosse reo d’omicidio.

XXX. D’un salto dall’equo al bestiale, mal soffrendo che dall’assenza, de’ litiganti, timorosi di perder la lite, si ritardasse o impedisse il giudizio, dichiarò: Che presenti o assenti, sentenzierà: e senza esame, se colpa o necessità alcun rattenea, diè sen-