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SUPPLIMENTO AL LIBRO DECIMO 385


XXI. Crebbe di fama Izate a sì umano accogliere Artabano, fuggiasco del regno, che in regno non suo, principe, anzi ch’esule, parea. Ma non piacendo a’ re mai tali scontri, fe’ a gran destrezza riabbracciar a’ Parti Artabano, oblio del passato promettendo e di prender sovra sé la pace. Aderiro; e Cinnamo, al soglio atto più che avido, cesse, per rassegnazione più che per impero illustre.

XXII. Grato ad Izate Artabano, al colmo il portò degli onori, e gli diè mitra dritta, e che dormisse in letto d’oro; prerogative della partica maestà. Al suo regno aggiunse anco il sì ampio fertil paese di Nisibi tolto al re d’Armenia. Così con disonore, trai Romani lusso e libidine; tra’ Barbari, nerbo d’impero e gloria.

XXIII. Ma a meglio far vedere di Claudio e di Roma la condotta, piacemi riferir d’un ermafrodito, veduto quest’anno in Antiochia al Meandro, e portato in Roma, che curiosamente quel mostro accolse. Ma per distornare i flagelli, Claudio in osservanze, come in leggi, eccedente, a Giove Averrunco erse ara in Campidoglio. In libidine Roma vinse la superstizione; e si fe’ un trastullo di quel ch’ebbe un dì per abbominevole, di nuovo genere di colpe superba.

XXIV. Ver quei dì con lodevol opra, se non era for di modo prono a lusso il costume, lo scaro, boccon ghiotto a’ più goditori, fu dal Carpazio trapiantato in Italia. In una man d’anni di cura, Ottato Eliperzio grande ammiraglio, tra le spiagge d’Ostia e di Campagna spargendolo, ne fe’ razza, che molto se ne pescava: e per tal seminare, nuovo cit-


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