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382 DEGLI ANNALI

petuità di nome comperavansi; onde tante statue di ser bessi dier fuora, che fattasene una selva, virtù auggiavano, se M. Emilio e G. Popilio, la seconda volta consoli, i censori P. Cornelio Scipione e M. Popilio, tutte non toglieano circa il Fòro le statue degli usciti di magistratura, fuor dell’erette per sentenza del popolo o del senato.

XIV. Sul tracollar della repubblica, cresciuto il lusso, crebbe d’ignobil fama il farnetico. Sotto i Cesari in fine, arbitro un solo, e pochi in favore, nella sola Roma di tutto l’impero ridotte le fortune, non ebber fine statue e immagini; ergendosele ciascun de’ più vani e abili nell’intrigo coll’ultima sfrontatezza e ardire, non solo in lor case e cortili, ma in tempj, fóri, siti più esposti. Luogo non restando più quasi a virtù, decise Claudio: Si trasferisse altrove quell’immensità di statue ed effigie, nè alcuna pòi n’ergesse senza approvanza del senato; a’ soli risturatori d’antichi monumenti, o autori di nuovi, permesso di piantar ivi sue immagini e de’ suoi.

XV. Punissi l’avidità de’ governanti, vecchio tarlo, sordo a leggi, coll’esigilo d’alcun rettore di province, infame per regali presi, e subastandogli l’acquisti del governo. A non secondar la licenza per continue dignità, a non torre a’ popoli il dritto di querelar ingiustizie e violenze, volle Claudio che chi uscia di provincial prefettura non salisse tosto ad altr’onore: rimise pure l’abolite leggi, che i torti fatti da’ rettori si portassero in senato nè avesser questi scampo all’accuse e al rigor legale, per lunghi viaggi o altri rigiri. Nè pur agli assessori, se ben talora a due anni la carica prorogasse o destinasseli, permise aver tosto provincia. Fe’poi suo favore le vittovaglie fuor