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362 | DEGLI ANNALI |
nodi, levigati, di foglia quai cipressi, d’acuto odore, vellutata, nè a seta inferiore; la vetta, anco a state, di neve carca. In dieci posate quivi giunse, e tirò oltre ad fiume Ger, tra deserti di nera sabbia sparsa di macigni, come adusti; e v’ebbe, se ben di verno, caldi estremi; toccò le contigue foreste, da elefanti, fiere, serpenti a torme, infestate: e vide abitarvi i Canarj, che vivèan di viscere di fiere, minuzzate.
XXIX. Dopo tai scoverte, e atterriti più che domi i ribelli, tornò Svetonio a Roma, per poi provarsi con più pertinace nimico. La mauritana impresa compì Gn. Osidio Geta; e in più vittorie sovra Salabo, de’ Barbari duce, rintanatosi invano a’ deserti, si venne in fine a capitolare. In due province partissi, Tingitana e Cesariense, la Mauritania; destinativi per rettori due equestri. A conciliar gli animi insieme, e ad assodarne il signoraggio, fe’ Claudio colonia il castel Tingi, nomato, Giulia Trasferita1; lo stesso onor conferendo a Cesarea, già reggia di Giuba, e a Larache, gran temi d’antiche favole. Smembrati anco i veterani, fu eretto Castelnuovo, dato il Lazio a Tipasa, la cittadinanza a Rusucurio. Vinta poi e fatta in pezzi una truppa di Musulani, attentati turbar la Numidia, restò questa in pace.
XXX. In tanta gloria di Roma tra’ Barbari, piativa essa il pane, più pel lusso, e pe’ reati della Caiana stoltizia, che da sterilità di terra. Buono per natura, e timoroso della plebe, non più insolente che nell’abuso di quell’occasion di tumulti, alla pubblica fame pronto riparo diè Claudio, i mercatanti coll’esca
- ↑ (*) Tanger.