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356 | DEGLI ANNALI |
fe, busse; e Aponio toccò ferite. In tali intempestivi non dicevoli rigori prorompea il principe mal pratico a regnare, quando sorvenne Agrippa, e l’avvertì: „Per ora non con onte, con onori è a punir il senato„.
XV. A tutto facile, a palazzo i Padri chiama, ov’ei per mezzo a Roma in lettiga è portato, da soldati cinto, altieri e insultanti al popolo per aver dato all’impero il capo. Malgrado l’editto di Pollione, nuovo prefetto del pretorio, che non escissero in pubblico Cherea e Sabino, vi furon essi; più nella mira di schernir il governo, a quello spregio di legge, che di tentar novità. Giunto a palazzo, parlò Claudio di Cherea cogli amici; che di forte lodatolo il dier reo di morte, ad esempio; e già ita oltra l’adulazione, è quegli dannato alla testa, non per uccisor di Caio, ma per empi consigli contro Claudio. Franco, nè alterato pur di colore, a fermezza Lupo esortando, d’impresa sazio e di pena, ma non sì forte, va al supplizio, e vuol che lo stesso ferro il boia usi ond’ei Caio spense. Si in faccia a morte intrepido è fluito d’un colpo; più ve ne vollero per Lupo men di lui costante. Sabino, sdegnato l’offerto perdono e dignità, troncossi la vita, a sfregio avendosi sopravvivere a Cherea.
XVI. Intimidito alla costoro ferocia il principe, a punir si fe’ i soldati più ardimentosi: a cattivarsi con benefizj i senatori, e altri suoi contrari; nè ancor sicuro di vita e scettro, visitar facea a gran rigore chiunque a salutarlo venia: nè esciva a pranzo che tra guardie in armi, e facendovi da ministri i soldati; altre pur ne inventò per timore; adottate poi a maestà de’ sovrani. Ma pose freno a’ sospetti il