Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/352


SUPPLIMENTO AL LIBRO OTTAVO 345


LXXIII. Più ardito Cherea, credendo a vincer facile chi mostra rossore, duolsi: d’esser essi non pur le lance del fierissimo principe, ma l’amici; contro libertà e patria armati, del sangue romano tuttodì bruttarsi; nè con tanta infamia comprar anco sicurezza con principe sì ombroso, e d’umana carne affamato. Coraggio una volta, che la comun salvezza assicuri.

LXXIV. Lodalo Clemente; ma: „Silenzio e tempo,„ dice „io pel peso degli anni a tant’opra men atto, troverò più certi mezzi niuno ti parlerà più da galantuomo;„ e si divisero di diverse idee occupati. Clemente riflettea su ciò ch’avea detto e udito; Cherea, indarno quasi tentata del prafetto la fede, più precipitoso tira dalla sua Corn. Sabino tribuno e Annio Minuciano di cospicua dignità: senatori v’aggiugne, cavalieri, soldati: Callisto v’entrò anco, primo nella grazia di Caio, e de’ liberti il più ricco; tanto più pronto a tutto quanto di sua fortuna più superbo e più avido; del tradimento la vergogna e’ palliava coll’atrocità d’un delitto non so se vero o falso, cioè d’un ordine datoli da Caio d’avvelenar Claudio.

LXXV. Tanti congiurati cresceano ardire, ma i consigli ritardavano; chè ognun l’intendea, com’avviene a suo verso. Cherea solo opinava: „E’ d’uopo, sovra tutto, far presto; indugio porta periglio; si son perduti comodi incontri; poteasi Caio uccidere al suo salir in Campidoglio a sacrificar per la figlia: precipitarsi dall’alto della reggia nel gittar danaro al popolo: opprimersi quando solo e incauto sue secrete sacre funzioni celebrava. Del resto non abbisogno io già di soci o d’armi, ho dal ciel