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SUPPLIMENTO AL LIBRO OTTAVO 343

la sua cinquereme sola stè ferma. Stupito ognuno che ostacolo si frapponesse allo sforzo di quattrocento remi, fu chi usci di nave a cercarne; e trovata una remora attaccata al timone, mostrolla a Caio, che dallo sdegno, ch’un mezzo piè di pescetto lo fermasse, passò allo stupore; come stretto di fuori al legno potesse tanto, tratto dentro, nulla.

LXVIII. Bazzecole per altro, da non far breccia in Caio, che tanto le sventure agognava, quant’altri le felicità; uso dolersi della sciagura de’ suoi tempi, non nobilitati da fame, peste, rotte d’eserciti, incendi di città, rovine di paesi, qual sott’altri imperadori. Ma sovra lui tornato a Roma caddero i mali che a’ popoli pregava. Da diverse ragioni il nefando attentato ordissi; caddevi Emilio Regolo da Cordova, per odio al principe; Annio Minuciano, per vendicar Lepido, e sottrarsi all’imminente colpo; Cassio Cherea, d’antica austera probità, di cui non v’ha di meglio al bene, nè di più audace al male; per sua negletta virtù, per la stessa benevolenza di Caio, più nimico.

LXIX. Ciascun d’essi, chiunque sapea offeso da Caio, si fe’ socio; non a causar periglio, ma a più fortificarsi colla lega. Il più invasato, Cherea tribuno de’ pretoriani, a osservar tutto, le libidini di Caio, gli arcani dei sacri riti, l’asprezza delle taglie, il lutto del popolo, i suoi propri torti (che per umanità e moderanza a esiger l’imposte, dal principe, scemo di tutto il virile per ostentarsi donna, di mollezza venia tassato, e ove il segno chiedea, Venere, Cupido, Priapo, n’avea sempre); a tutto esagerar per delitto e giusta cagion di congiura; con lodi ed esempi ad animar i complici.