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SUPPLIMENTO AL LIBRO OTTAVO 335

gna alla patria fu vana, a Capitone portò pronta e stentata fine.

XLVII. Ma Caio angosciato e morso da coscienza, di sue iniquità testimone e vindice, flagello de’ più fieri tiranni, di tutto s’aombra, a niun crede, ognun teme: or cieco d’ira, infuria, e vorrebbe tutta Roma in un collo, per punire a un sol colpo e dì, tutti suoi falli di tanti luoghi e tempi; or poltrone imbelle si dispera, vuol morte di Roma e del pretorio i prefetti chiama, con Callisto, e in flebil tuono: „Io son solo, dice, voi tre, io nudo, voi in arme; m’odiate, mi chiedete a morte? eccomi.„

XLVIII. A tai sensi, rinovano scorati la fede, a viver sicuro il confortano; ma non rinfrancan l’anima di timor conquisa. A’ vecchi vizi nuovi ognor aggiunti, cresce la tema: nè ha ritegno il principe girsi armato per mezzo a Roma: e per più follia, in nimistà cerca sicurezza; amico facendosi di nimici tra loro. Politica talor più utile che virtuosa in ferma, nè malvagia monarchia; ma a principe odioso nociva sempre; e poi da sè, la discordia più che la concordia, di delitti è madre.

XLIX. Or il senato mesto pel lutto di tanti uccisi, dolsasi che pur vivessero senatori da Gaio nimicati; tremando dell’implacabil uomo, che tutti per tal indugio fulminar potria. Sì costernato rientrò in grazia con una viltà; che entrando Protogene, principal della Caiana sevizia cagnotto, in senato, e porgendogli ognuno co’ saluti la destra; ei guatando bieco Scribonio Procolo „Tu, disse, nemico della patria salutarmi?„ E senza più, difilaronsi addosso a Procolo i senatori, e cogli stili da scrivere il crivellarono. Sue membra e viscere tratte per le vie,