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330 | DEGLI ANNALI |
signi, vanno in man de’ Galli, fedel nazione amica!„ e pentir fìngendo: „Come mi fo io a dare a privati cose da sovrani!„ E con più ardire chi comprava rampognando: „Non arrossate d’esser più ricchi del principe?„ Dopo ciò fe’ man bassa contro l’aver de’ ricchi, insultandoli poi e schernendoli per ultima disperazione. Questo con pubblico lutto alla Gallia toccò: giocando egli un’otta a carte, nè bastando la borsa, s’appartò: e, fatto recar l’estimo de’ Galli, ordinò la morte de’ più ricchi, d’ivi tornato giubilante al giuoco: „Voi, disse» giocate di poco; io vinco secentomila scudi d’oro„.
XXXIV. Nè ’l plebeo supplizio schivò Tolomeo, chiamato dal regno da Caio, e con onore accolto, per trasoneria di farsi far corte da’ re. Invidia fe’sua rovina e della Mauritania; chè entrato agli spettacoli, e trattosi addosso tutti gli occhi per la fiammante porpora, inorridì il principe a non veder tutti ver sè volti: e fe’ un capitai delitto del fulgido manto, non a bastanza espiato col regio e affine sangue, se la Mauritania in due province non partia; a pari infamia del romano governo e del barbaro padrone. Men fera sorte, a speme di di migliori, corse Antioco e Mitridate; quegli sempre mal sicuro nell’amicizia di principi infidi, privato del regno; questi a Cesare tratto, e in ceppi, balzato in esigilo.
XXXV. Dopo tali assassini, mancando di materia a rapine la Gallia, ripullulò l’insania dell’armi; all’uso delle sfrenate passioni, che gittato radici, cangiar ponno, sbarbicarsi no. Dunque non a dilatar l’impero, ma per l’usata leggerezza, o per vana emulazion di Giulio Cesare vincitor de’ Britanni, la britannica spedizione imprese: e con gran truppa