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SUPPLIMENTO AL LIBRO SETTIMO 313

Roma ad accasar sue colpe gli stessi stigatori, Isidoro e Lampone.

XL. Oltre l’accuse porte da Agrìppa e dai Giudei, rinfacciavaglisi tra più altre reità, la benevolenza di Tiberio, i voti pel nipote, la confidenza di Macrone, la speranza lui vivo, morto il duolo; la provincia pria non male, poi, pe’ vecchi odj a Caio empiamente retta; e pensavasi a rilegar Fiacco in laro; quando, a’ preghi di M. Lepido, fu bandito in Andro, incameratine i beni.

XLI. Mentre la calma alle province, col punir le violenze, il senato procura, con nuovo prodigio d’arte promove il principe lo splendor di Roma a pubblico uso e privato piacere. Poichè, più di Q. Marcio re e d’Agrippa avo, osando, ordinò archi, e forar monti e appianar valli, per portar da quaranta miglia l’acque Cerulea e Curzia, da sessanta il nuovo Anione a Roma; e alzarle a livello, da scorrere per tutti i colli in bagni, vivai, case, canali, orti, ville. Opre che, a gran lena intraprese, con pari leggerezza interrotte, a somma lode abbonì Claudio.

XLII. Spensersi a que’ dì due lumi di lor età, Antonia e Giulio Grecino: quella delle famiglie Antonia, Ottavia, Claudia, la nobiltà accogliendo, pe’ pregi del marito e del figlio chiarissima; più chiara spiccò per esemplar vedovanza: e passava dell’umana condizione il segno, ad aver altro nipote che Caio. Secondando natura, lo serbò essa all’impero, ottimo principe formollo: non reggendo a sue bestiali scostumatezze, quando più non l’ascoltava, con quel fatai motto: „Pensa che tutto, e ver tutti mi lece,„ d’angoscia struggendosi, o,