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308 DEGLI ANNALI

aggregò all’equestre ordine, pel lussò e pe’ cennati processi dicresciuto, fuor d’Italia molti di polso per parentele ed agi; a taluni anco la senatoria veste, se ben senza merito di magistratura, accordò, arra di dignità: e per alleviar de’ giudici il peso, alle quattro prime la quinta decuria aggiunse. Quel che più gradì Roma, la ducentesima degl’incanti d’Italia rimise.

XXVII. L’ultime faville di sua languènte virtù spensero due a suo brobbrio, a pubblico scempio nati, Elicone e Apelle; questi d’Ascalona, per teatrali opere e stupri infame; egizio l’altro, per sue giullerie e malizie più anco iniquo. Ad ambi legato Caio a fil doppio, l’onor, le vite, le fortùne de’ cittadini ad aver a vile, a far pompa d’oscenità, dimesticarsi co’ delitti, a capriccio rovesciar sacro e profano; a tal nequizia salendo, che fatto pessimo in un punto, fu tutto dì peggiore. Chi di mia penna a tal passo ha scandolo, l’abbia anzi, che tal mostro vivesse, che dei più rei anco; a’ cui eccessi deh tal marchio d’infamia la storia imprima, che pari non ne veda l’età futura!

XXVIII. Danno omai nel ridicolo i vizi dell’insano governo; fatto ballerino e commediante sotto Apelle il principe, la maestà, le cure dell’impero posterga: tutto negli spettacoli, venir fa le più scelte partite d’atleti d’Affrica e Campagna, di Libia e d’altri rimoti paesi le fiere: all’anfiteatro di Tauro, circo, steccati, e d’essi noiato, e radendo case, a teatri posticci, il popolo trae pensile in giro a’ giuochi gladiatorj, circensi, scenici, troiani, a naumachie, a cacce. E ciò, di e notte, per fanciullerie illuminata nella Vincitrice del Mondo; pel circo,