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306 | DEGLI ANNALI |
infermo; coscienza di delitto in Tiberio chiamar osando, che ’n assidua grave tosse tolto un rimedio, olisse d’antidoto, come a prevenir suoi veleni. Voller taluni, ch’astretto uccidersi, per non violar buia la cesarea maestà, il gramo giovane di colpa incapace, come di darsi morte, offrì spontaneo il collo al taglio, ripugnando i manigoldi, chiese, ove ferirsi per escir di vita; e mostrogli dove, cacciatovi il ferro, dilefiò.
XXIL Dal chimerico delitto reso audace, va il principe in pubblici eccessi. Da Atanio Secondo, di cui poc’anzi, il voto esige: al suo pugnar con ferro, assister nè lo libera, se non vincitore, e a gran preci. Afranio Potito a morir tardo, cinto di verbene’ e d’infide dà in mano a putti, che a sciorre il voto lo menino per città, sin che traggasi giù d’un bastione.
XXIII. Peggio finì M. Silano; ei di virtù, più che d’affinità con Caio, illustre gli fea da aio (arduo mestiere co’ buoni princjpi, co’ malvagi funesto), e nell’antica autorità, onde appo Tiberio valea, fidando e nell’amor di Caio a Claudia figlia testè morta; al principe, non anco in libidine radicato credendolo, venia ricordando: Virtù fa amar dà’ popoli, alfine a’ vizj è l’odio. Quell’importuno satrapo, e, se pivi dura, insoffribile, con ingiurie Caio, poi con calunnie addenta: nè indur valendo Giulio Grecino ad accusar l’ottimo uomo; controvando, che messosi in mar turbato, non avealo seguito Silano, per occupar Roma, se mal ne gl’incoglica, a segarsi con rasoio la gola astrinselo. Sposò poi Livia Orestilla moglie di Calpurnio Pisone: è ’l dì