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SUPPLIMENTO AL LIBRO SETTIMO 301


VII. Tai principi d’impero tra male e bene indecisi, nè di rilievo a fronte del più serio, ammira il popolo, che non sa di virtù, l’esalta, quali presagi di felicità, ne dà grazie agli Dei, si fuor di modo, che ne’ tre prossimi mesi, anco scarsi, più di censessantamila vittime s’immolaro. Cesare da innata leggerezza e del lusingar de’ piacentieri, vano, gonfio pur de’ tesori di Tiberio, ne’ vizj de’ gioveni principi trabocca novità: disfar del passato governo il buono e ’l cattivo; a lode più che a regnare per mente.

VIII. Non più già ombre dell’antico rigore; amnistia per condannati e rilegati senza divaro, e pe’rei di prima; obliate fin le domestiche onte, recati nel fòro i processi circa madre e fratelli1 giurando nulla aver letto, nè tocco, mandali in fiamme. Vuole si cerchino, si spargano, si leggano, l’opere con decreti di senato proscritte, di Tito Labieno,2 Cordo Cremuzio, Cassio Severo: „È mio interesse, dice, tutto ai posteri si tramandi„.

IX. D’autorità pur non curante, volle a’ magistrati le mani sciolte, senza appello a sè; che rimessi nel primo piede i comizj, desse suo voto il popolo; e i conti dell’impero, soliti esibirsi da Augusto, da Tiberio celati quai misteri, si pubblicassero. Contro i vizi stessi forte, non ben sodo in virtù, pregato a non dar in fogna, le spintrie3 scacciò di Roma. Usò anco rigore contro i cavalieri, levando a nome

  1. La madre Agrippina, i fatelli Nerone e Druso.
  2. Di Tito Labieno, V. Sen. Controv. V. in praefat. di Cremuzio al L. IV. Annali, num. 34, 35, di Cassio Severo al L. I. Ann. num. e L. IV, n. 21, e Seneca al luogo cit.
  3. Voce usata dal traduttor di Svetonio.