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LIBRO SESTO 291

bito: „Son gente accattata, spedata per lo lungo cammino; nè tutti il vogliono; quei che lo favoviscon testè gli eran dianzi traditori e nimici.„ Ma Abdagese consigliava tornare in Mesopotamia; e difesi dal fiume, intanto chiamare aiuti armeni, elimei, e altri addietro; e con essi, e que’ che manderebbe il capitan romano, tentar fortuna. Attennesi a questo; perchè Abdagese faceva alto e basso, e Tiridate non era aperto. Partironsi come in fuga: gli Arabi cominciarono, e gli altri seguirono d’andarsene a casa, o nel campo d’Artabano; e Tiridate con pochi in Soria si ripassò; e così liberò tutti dal biasimo del tradimento.

XLV. Nel detto anno in Roma s’apprese gran fuoco, che arse Aventino e la parte del Cerchio congiuntagli; del qual danno Cesare cavò gloria, pagando per la valuta delle case e isolati1, milioni dua e mezzo d’oro, liberalità cotanto più grata a tutti, quanto meno murava per sè. Nè fabbriche pubbliche fece, che il tempio d’Augusto, e la scena al teatro di Pompeo; e quelle finite, non consacrò; sprezzando ambizione, o per troppa età. Fece stimare il danno di ciascuno, da’ quattro mariti di sue bisnipoti, Gn. Domizio, Cassio Longino, M. Vinicio,

  1. Ceppi di case, a muro comune congiunte. Sparziano dice che furono 335. Nel quindicesimo di questi Annali si dice che in Roma, dopo che arsa fu (forse per fattura di Nerone), si rifecer le strade larghe, ordinate, diritte, le traverse a misura, le piazze maggiori, le case non sì alte, co’ portici avanti, cinte ciascuna di suo proprio muro spiccato dal vicino; come ancora noi veggiamo le nostre torri e case antiche per sicurezza delle arsioni, e divìsion della città. Vedi il Lipsio a 398.