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LIBRO SESTO | 285 |
e pigliar campo al ferire; i Sarmati, lasciato l’arco, che poco tempo serve, avventarsi con aste e spade: e ora, come in battaglia di cavalli, il viso o le spalle voltando, ora come di fanti, urtando e ferendo, la caccia davano o ricevevano. E già gli Albani e gl'Iberi pigliavano, urtavano, e mal conducevano i nimici; ferendoli i cavalli di sopra e fanti da presso. Farasmane e Orode, dove era valore accendendo, e dove pericolo soccorrendo, si facevano molto vedere; e perciò conosciutisi, con grida, arme e cavalli s’affrontano. Farasmane più furioso feri ’l nimico per la visiera: non raffibbiò, perchè fu dal cavallo portato oltre, e il ferito da’ suoi più valorosi salvato. Ma i Parti, credendo al falso grido ch’ei fusse mòrto, cedettero, incodarditi, la vittoria.
XXXVI. Artabano si mosse con tutte le forze del regno, e fu superato dagl’Iberi più pratichi di quei luoghi; nè perciò si partiva, se Vitellio, legioni adunando, e spargendo d’assalire la Mesopotamia, non gli metteva paura di guerra romana. Allora, lasciò l’Armenia, e fu spacciato; dicendo Vitellio a que’ popoli: „Che volete voi fare d’un re che nella pace vi scanna e nella guerra vi rovina?„ Sinnace adunque suo nimico, come dissi, induce Àbdagese suo padre, e altri per sè disposti, (e allora vie più per le continove sconfitte) a ribellarsi, correndovi a poco a poco quelli, che stati soggetti per paura e non per amore, trovati i capi rizzaron le creste. E già non rimaneva ad Artabano, che la guardia di sua persona; gente forestiera sbandita, che non conosce il bene e non cura il male, ma vive prezzolata di far tradimenti. Con sì fatti si fuggì ratto, e lungi a’ confini della Scizia, spèrando