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278 | DEGLI ANNALI |
stava intorno, pregava; domanda: „Come è ciò? che rimorso avrei, che fama, se il mio più caro amico, senza veruna cagione, fuggisse il vivere?„ Nerva gli voltò le spalle, e più non mangiò. Chi sapeva la sua mente, diceva: che, vedendo egli la Repubblica a mal partito, volle per ira e paura morire candido e non manomesso. La rovina d’Agrippina (chi ’l crederà?) rovinò Plancina. Fu moglie di Gn. Pisone: fece della morte di Germanica pubblica allegrezza: quando Pison cadde, i preghi d’Augusta, e non meno l’esser nemica d’Agrippina, la ressero; quell’odio e quel favore mancati, la giustizia ebbe luogo: e accusata de’ peccati già chiari, ne pagò di sua mano la pena, più tarda che indegna.
XXVII. A tanti duoli e pianti della città s’aggiunse, che Giulia di Druso, stata moglie di Nerone, si rimaritò a Rubellio Blando, il cui avolo fu da Tivoli, cavalier romano: e se ne ricordano molti. Al fine dell’anno morì Elio Lamia. Ebbe esequie da censore, titolo di governatore di Soria, e poi di Roma, d’orrevole famiglia; prospetto vecchio, e per quel governo vietatoli, più riputato. Morto poi Flacco Pomponio, vicepretore di Soria, si lesse una lettera di Cesare, che si doleva che i più valenti, e atti a governare eserciti, ricusavano le province, e gli bisognava pregarne li consolari; non sì ricordando che Aruuzio, già dieci anni, non s’era lasciato ire in Ispagna. Ancora morì quell’anno M. Lepido, della cui moderanza e saviezza, ne’ libri passati assai è detto: della nobiltà, basta dire di casa Emilia; cava ricca di cittadini ottimi; ve n’ebbe di corrotti, ma grandi.