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LIBRO PRIMO | 21 |
aduggiasse, non le concedette pure un littore; e l'altare dell’adozione, e altre cose cotali, le tolse. Fece far Germanico viceconsolo; ambasciadori andaro a portargli il grado, e consolarlo della morte d’Augusto. A Druso, che già consolo eletto, e presente era, ciò non occorse. Dovendosi fare i pretori ne nominò dodeci; numero posto da Augusto. Il senato voleva pur ch’ei lo crescesse, ed ei giurò di nol passare.
XV. Gli squittinj si ridussero allora dal campo Marzo al Senato; perchè gli ufficj fino a quel dì s’erano dati per favori delle tribù, benché i migliori dal principe. Il popolo di tal preminenza levatagli non fece che un po’ di scalpore: al senato fu ella cara, per non avere a donare, e con indegnità dichinarsi. E Tiberio s’aonestò di proporne quattro e non più: ma vincessero senza pratiche. I tribuni della plebe chiederono di fare ogni anno a spese loro una festa da dirsi, dal nome d’Augusto, Augustale, e aggiungnersi al calendario. Fu conceduta a spese del pubblico: andassero per lo cerchio in veste trionfale, ma non in carro: quel giudice de’ cittadini e de’ forastieri, che risedesse, ne avesse l’annual cura.
XVI. In tale stato eran le cose della città, quando le legioni di Pannonia romoreggiarono; perciò solamente, che la mutazione del principe mostrava licenza d’ingarbugliare, e la guerra civile speranza di
stizia; donava a’ nobili poveri. Molti edifìcj e tempj di privati, cominciati o rovinati, fornì e riparò, ritenendovi i nomi loro. Urbanità usata dal granduca Cosimo, che al palagio dei Pitti, comperato e reale fatto, non volle mutar nome, nè metter sua arme.