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LIBRO SESTO | 271 |
nipoti sue, dopo lungo pensare, congiunse Giulia1 a M. Vinicio natio della terra di Galles in Campagna; il padre e l’avolo furon consoli, la famiglia cavaliera: di dolci costumi, dicitore ornato; e Drusilla a L. Cassio, di casa popolare romana, ma orrevole e antica; dal padre tenuto sotto; uomo di più pianezza che industria. Scrisse al senato, lodando i giovani alquanto; poscia, renduto di sua assenza ragioni stravaganti, entrò in cose più gravi; Che s’era per la repubblica fatto nimici; però chiedeva che Macrone prefetto, con qualche tribuno e Centurione; entrassero sempre seco in senato. Fecesi partito largo di quanti e quali volesse. Ma egli, non che in senato, non entrò mai pure sotto un tetto della città, se bene spesso per tragetti intorno le aliava, e se n’andava.
XVI. Furia d’accusatori uscì addosso agli usurari, che arricchivan più che sopra il prestare e possedere in Italia non dispone la legge di Cesare dettatore già dismessa; perchè l’interesse privato dà dei calci al ben pubblico. L’usura è mal vecchio della città, e di sollevamenti e discordie ch’è, ch’è2, cagione; però ancora ne’ tempi antichi e costumi men guasti si correggeva. Conciossiachè le Dodici Tavole primieramente la tassarono il più a uno il mese per centinaio, che prima facessi a modo de’ricchi; poi fu per legge de’ tribuni ridotta a un mezzo; poi ogni usura vietata, e per molti ordini della plebe, prov-