Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
LIBRO SESTO | 263 |
Cesare percosse con grande allegrezza de’ Padri, Sestio Paconiano, stato pretore, dicendolo audace, nocivo, spiatore de’ segreti d’ognuno, e ministro di Seiano al tradire di C. Cesare. Quando ciò si seppe, sgorgareno i primi odj, e dannavasi al sommo supplizio, ma egli disse che aveva in seno una accusa.
IV. E cintala a Latinio Laziale, fu grato vedere spia e reo, due odiatissimi. Laziare, come dissi, fu capo al condurre alla mazza Tizio Sabino, ora primo al gastigo. Allora Aterio Agrippa la prese co’ passati consoli: „Se essi s’accusaron l’un l’altro, perchè tacere ora? Il verme della conscienza e la paura gli ha riuniti; ma non deono i Padri le udite cose passare con silenzio. Rispose Regolo: „Indugio non leva gastigo; farebbe il bisogno presento il principe.„ Trione disse: che di gare e male parole tra’ colleghi meglio era non tener conto. Riscaldandosi Agrippa, Sanquinio Massimo consolare disse: „Di grazia. Padri, non aggiunghiamo fastidi al principe, stuzzicando piaghe maligne; saprà egli ben medicarle„. Ciò diede al morire scampo a Regolo, e tempo a Trione. Aterio fu odioso, per sonno e lussuria marcio; del principe, quantunque crudele, come neghittoso non temeva; e sempre a rovine di grandi in taverne e ma luoghi pensava.
V. Di poi Cotta Messalino (quei dalle crude sentenze, e perciò malvoluto ab antico) fu accusato, il prima che si potè, di più cose: aver chiamato C. Cesare maschio-femmina1, e cena d’esequie
- ↑ Per accoppiare questo scherzo della disonestà di Caio col seguente di Cotta, che chiamò cena del mortòro quella fatta per lo natale di Tiberio, che tanti uomini faceva morire.