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SUPPLIMENTO AL LIBRO QUINTO | 247 |
fulmina contro Nerone, più che mai d’onte carco, sentenza di ribelle e di morte. Ma l’imprudente gioia per la sospirata esecuzione, presto Cesare ripresse, e più terrore ispirò che sapendo, scema la venerazione, cader di pregio uom più che di virtù, di dignità cospicuo, fe’ legge: non si sacrifichi a mortale: negli onori stessi del principe siavi modo, né sen proponga di nuovi. E sfatava e’ di vero tali ossequi, più di sovranità che di religione geloso; ambivali ben Seiano, di sé stesso e adoratore e nume, cui di scala era al soglio religione, ignaro che tal si cole ch’è in più odio e spregio.
XXXII. Tolto a Sciano il culto, e sveltegli bel bello le penne maestre, più vivo affetto ebbesi a Caio, e a Tiberio stesso, di Germanico al sangue più benevolo. Lieto di tal disposizion di Roma Cesare, certo dell’erede, di sé sicuro, diè la stretta a’ Seiano, da palesarsi fedele o perfido: e a’ suoi intimi fa processo, e dà morte, alla tranquillità dell’impero più che mai inteso. Col dissimulare e soffrire vinceala Seiano coll’ombroso principe; ma pressavano di colpe gravidi i Fati, che lo sconsigliato stigarono a congiura. Caduto di speme, accanato, fremente, de le pretorie coorti baldo, senatori, equestri, liberti complici odiosi al principe, solleva e ’n empia lega intrica; più fiero insieme e più felice, per non rinculare da malurie ch’allor correano. Orror del misfatto, o speme di premio che fusse, la congiura Satrio Secondo, creatura di Seiano, aprì ad Antonia.
XXXIII. Questa, per maschia anima, e amore a Caio nipote, con lettera per Pallante suo schiaro de’ più fidi, il principe ne fa saggio. Parato