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228 | DEGLI ANNALI |
a sua persona; che voleva dire: „Sentenziatelo a morte;„ e così fu incontanente. Menato a morire gridava quanto n’aveva nella gola, benché imbavagliato: „Così si celebra capo d’anno: queste vittime s’ammazzano a Seiano.„ Ovunque dirizzava occhio o parola, faceva spulezzare1, sparire, votar le vie, le piazze: e tale tornava a farsi rivedere, per tema d’aver temuto. „Tiberio non ha inteso tirarsi tant’odio addosso; ben ci ha chi ha voluto mostrare che i magistrati nuovi si posson cominciare dalle carceri, come dai tempj e altari. E qual giorno, dicevano, fia scioperato il carnefice, se oggi tra i sagrificj e l’orazioni, che non si suol dire parola mondana, s’adoperano le manette e i capestri?„ Per altra lettera ringraziò dell’avere spento quel nimico della repubblica; e soggiunse, che viveva con pericolo dubitava d’agguati di suoi nimici, senza nominarli. Ma s’intendeva Nerone e Agrippina.
LXXI. Se io non avessi deliberato di narrare ciascheduna cosa pel suo anno, volontieri qui direi la fine di Latinio e d’Opsio, e di quegli altri ribaldi, non pure imperante C. Cesare, ma Tiberio medesimo; il quale non volle mai che niuno toccasse i ministri delle sue scellerità; ma sempre ch’ei ne fu stucco si servì de’ nuovi, e i vecchi noiosi si tolse dinanzi. Diremo adunque’ a’lor luoghi le lor pene. Allora Asinio Gallo, benché cognato d’Agrippina2,