Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/22


LIBRO PRIMO 15

detto, e nelle cose della repubblica non vorrò mai consiglio d’uomo, quando anco io credessi d’inimicarmiti; „ questa fine adulazione sol vi mancava. Gridando i senatori: „ Portiamolo sopra i nostri òmeri „, lo arrogante Cesare chinò il capo: e per bando il popolo ammonì, non queste esequie, come l’altre del divino Giulio scompigliassono, con lo stravolere che Augusto nel foro della ragione più che nel solito campo di Marte, a ciò deputato, s’ardesse. E vi tenne il dì dell’esequie soldati per guardia; ridendosene molto coloro, che avendo veduto o udito da’ Padri, che l’altro di dello spettacolo del morto Cesare Dettatore, per esser paruto a chi bellissimo e a chi pessimo, non riuscì ripigliare la libertà quando non era a pena inghiottita la servitù: „ Grande uopo„ (diceano) „ di soldati oggi ci ha, che lascino seppellire in pace un vecchio principe di lunga potenza, che lascia eredi con valenti artigli fitti nella repubblica!„.

IX. Quinci di esso Augusto molto si ragionò1; facendosi il volgo di cose vane le maraviglie: „In tal dì, che l’imperio prese, morì; in Nola, in casa, in camera dove Ottavio suo padre: tredici consolati ebbe egli solo, quanti Valerio Corvino e C. Mario intrambi: trentasette anni continui la podestà tribunesca; ventuna volta fu gridato imperatore; e più altri onori iterati o nuovi.„ Ma i prudenti chi in cielo, chi in terra mettevano la sua vita: „ Avere, (dicevano quelli) la pietà verso il padre, e’l bisogno della repubblica, dove le leggi non avien luogo,

  1. Il dì del mortoro è l’estratto di tutta la vita del morto; poi non se ne parla più.