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LIBRO QUARTO 211

sero pur' eglino quivi presenti, che per quantunque spasimi nol direbbe1. L’altro dì rimesso in disamina, si scotè da’ fanti di sì gran forza, e sfracellossi in uno stipito il capo, che quivi spirò. Credesi facessero ammazzar Pisone i Termestini, perchè gli scannava con le gravezze.

XLVI. Nel seguente anno, consolato di Lentulo Getulico e C. Calvisio, furon date le trionfali a Poppeo Sabino, per avere rintuzzati i Traci di quelle alte ed aspre montagne, però feroci. Levaro in capo per lor natura, e per non dare il fiore della loro gioventù alla nostra milizia, avvezzi a disubbidire anche i re; o mandare aiuti a lor posta, sotto lor capitani, e in guerre vicine; e allora dicevano, che

  1. Credesi per molti savi e dotti uomini, che il trarre coi tormenti la verità sia cosa non umana, non sicura e dannosa alla repubblica; perchè noi laceriamo i corpi vivi come le fiere, e bene spesso liberiamo il colpevole che può sopportare, e niega la verità; e l’innocente danniamo che mentisce per duolo. Dice Ulpiano che la tortura è prova fallace e pericolosa. E Cicerone in Silla, che in quell’agonia la verità non ha luogo. Perciò i Romani non esaminavano con tormenti le persone libere, ma i loro schiavi; perchè questi erano dalle leggi riputati per niente, e come cadaveri. E noi Cristiani facciamo di noi questo strazio, eziandio dandolo a buon mercato, e alcune volte per cause non degne, non criminali, pecuniarie solamente. Bene il Boccaccio fece a Tedaldo degli Elisei cuosiderare la cieca severità delle leggi e de’ rettori, i quali assai volte, quasi solleciti investigatori del vero, incrudelendo, fanno il falso provare, e sè ministri dicono della giustizia e d’iddio, dove sono della iniquità e del diavolo esecutori. Vedi Anneo Roberto, libro primo, capit. 4 delle Decisioni di Parigi: e la costanza dell’Ancilla esaminata contro la falsa accusa d’Ottavia nel quattordicesimo di questi Annali.