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LIBRO TERZO | 173 |
hanno a poter deliberare; sì gran maleficio non si può perdonare; sia dolce quanto vuole per sè: delle ingiurie della repubblica non sì largo.» Intese Tiberio l’adulazione, e seguitò non volere: e Capitone per essere in ragion civile e divina gran savio, tanto più scorno ebbe della sporcata degnità pubblica, e privata eccellenza.
LXXI. Nacque scrupolo in qual tempio doversi appendere il boto per la sanità d’Augusta da’ cavalieri romani fatto alla Fortuna Equestre, perchè niuno de’ molti ’ in Roma di quella Iddea aveva tal titolo: trovossene uno in Anzio, e quivi s’appese; perchè tutte le immagini, tempj e santità, che nelle terre d’Italia sono1, sono dell’imperio di Roma. Trattandosi di religioni, Cesare diede la sentenza, dianzi differita, contro a Servio Malugiuese, flamine di Giove, conforme allo statuto de’ pontefici, fatto sotto Augusto, che si lesse, cioè:» Ammalando il flamine di Giove2 possa star fuori più di due notti3, quanto parrà al pontefice
- ↑ Dovrebbesi nel plurale dir sonno a differenza del singolare; ma l’uso fugge l’equivoco di somnus, e più tosto vuole quello di sum. E non vuole accettare il buon rimedio del Trissino a queste difficoltà dell’o piccolo e dell’o grande.
- ↑ Voleva il popol romano che alla guerra d’Aristonico andasse L. Valerio Fiacco consolo, e flamine ancora di Marte; M. Licinio Crasso l’altro consolo, e ancora pontefice, nol permise. Cic. Filippica seconda. Similmente Metello pontefice non lasciò ire in Affrica Postumio consolo e flamine. Val. Mass., l. i, cap. 2. Cedette il sommo imperio de’ consoli ai pontefici, che volevano anche allora la risedenza. Così Tiberio pronunziò contro al Maluginese.
- ↑ Il testo de’ Medici, che si può dire originale, non ha quel dum ne, che dava nelli stampati fastidio. E veramente i malati dovevano per due notti potere star fuori senza licenza.