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LIBRO TERZO 155

ro s’ammacchiò: vedendo poi presi i passi dell’uscita, s’uccise: e fu finito il movimento de’ Treviri.

XLIII. Con gli Edui ci fu più che fare, quanto erano più potenti, e le forze per atturarli lontane. Sacroviro prese per forza Autun, lor città principale, e la nobiltà de’ giovani franzesi, che v’era a studio, per guadagnarsi con tal pegno i lor padri e parenti. Fabbricò armi segretamente, e dielle alla gioventù. Furono quarantamila: la quinta parte con armi da legione, e’l rimanente con ispiedi, coltelli, e altro da caccia. Oltre certi schiavi, destinati per accoltellatori, coperti d’un pezzo di ferro, a loro usanza, chiamati crupellai1, che tirar colpi non posson, nè li passano i tirati. Aggiugnevasi a queste forze gli animi delle vicine città, se non in pubblico scoperti, pronti in privato; e la gara de’ capitani nostri, volendo questa guerra ciascuno fare; pure Varrone, per vecchiezza debole, la lasciò a Silio vigoroso.

XLIV. In Roma si diceva non pure i Treviri e gli Edui, ma sessantaquattro città delle Gallie essersi rivoltate, e collegate co’ Germani; le Spagne tentennare; ogni cosa, come si fa delle male nuove, si credeva maggiore: ai buoni incresceva del pubblico; molti per odio dello stato presente, e desiderio di mutarlo, si rallegravano de’ loro stessi pericoli, e maladivano Tiberio, che quando ardeva il mondo, badasse a postillare i processi degli accusati: „Do-

  1. Armi poco meno ridicole usava la milizia sforzesca, braccesca, e di Niccolò Piccinino, nella cui rotta d’Anghiari morì uno nella calca. Nel primo delle Storie simile armadura dice usare i Sarmati.