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142 | DEGLI ANNALI |
ruppe que’ medesimi di Tacfarinata, che Tala fortezza nostra battevano; ove Elvio Rufo fantaccino, meritò corona di cittadino salvato. Cesare gliela donò, e con Apronio si dolse senza però spiacergli che, come viceconsolo, non gli donasse anco questa, come le collane e l’asta. Tacfarinata, essendo i Numidi spaventati, nè volendo più assedj, si spargeva per la campagna: affrontato, sguizzava e rigirava alle spalle: e mentre tenne questo modo il Barbaro, beffò franco e straccò i Romani. Calato alle maremme, e standosi nel campo a covare le sue prede, Apronio Cesiano, mandato dal padre co’ cavalli e fanti d’aiuto, e co’ più veloci delle legioni felicemente il combattè e cacciò ne’ deserti.
XXII. In Roma Emilia Lepida, cui, oltre allo splendor della casa, fur bisavoli L. Siila e Gn. Pompeo, fu accusata di falso parto di Pubblio Quirinio, ricco e senza figliuoli: e di adulterj, e di veleni, e di pronostichi, fatti fare da’ Caldei della casa di Cesare1. Manio Lepido suo fratello la difendeva; Quirinio ne la rimandò, e anche perseguitandola, fece increscer di lei, quantunque rea e infame. Male si vide come il principe la intendesse; tanto variò e tramescolò ira e clemenza. Prima pregò il senato non trattasse di maestà; poi incitò Marco Servilio, stato consolo, e altri testimoni, a dir su cose che prime accennò le tacessero. Allargò dall’altra banda i servi di Lepida dalla prigionia de’ soldati a quella de’ consoli2; e non volle che fosser martoriati sopra le cose di casa sua, e che Druso, consolo