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LIBRO TERZO | 141 |
troppo volerne. Qui finì la vendetta della morte di Germanico, narrata da que’ ch’eran vivi, diversa da’ seguenti: sì mal si sanno lo cose grandissime, tenendo alcuni ciocchè odono per sicurissimo: altri travolgono la verità; e l’uno e l’altro chi dopo viene accresce. Druso per ripigliare il suo grado uscì di Roma, e rientrò1 ovante. Pochi giorni appresso Vipsania sua madre morì, sola de’ nati d’Agrippa, di buona morte: gli altri, o si seppe di ferro, o si tenne di veleno o di fame.
XX. Nel detto anno Tacfarinata, che la state dinanzi fu rotto da Camillo, come s’è detto, in Affrica rifece guerra: e prima guastò molto paese a man salva per la prestezza: rovinò casali, fece gran prede; poscia assediò presso al fiume Pagida una coorte romana in un castello, tenuto da Decrio, soldato bravo e pratico, a cui parve vergogna patire assedio: e confortati i suoi, si presentò fuori a combattere: piegarono al primo assalto; entra egli tra l’armi; para chi fugge; sgrida gli alfieri: Che i soldati romani voltino le spalle a truffatori, a canaglia. Pien di ferite, perduto un occhio, a viso innanzi s’avventa tra le ponte, e da’ suoi abbandonato sempre combatte; sì cade.
XXI. A tal nuova Lucio Apronio succeduto a Camillo, più per vergogna de’ suoi che per gloria de’ nimici, de’ dieci l’uno della ontosa coorte, tratti alla ventura (gastigo in quei tempi raro) vituperosamente uccide. Giovò tanto questa severità, che un colonnello di non più che cinquecento fanti vecchi,
- ↑ All’entrare in Roma forniva il grado, e senza grado non si trionfava.