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LIBRO TERZO | 137 |
simile che tra i servi altrui, con tanti occhi addosso, e dello stesso Germanico, cotanto ardisse: e chiedeva Pisone tormentarsi i servi suoi e di Germanico. Ma i giudici gli erano avversi per cagion diverse; Cesare per l’aver fatto guerra alla provincia; il senato non potendo mai credere1 che Germanico morisse senza inganno. Il che non meno Tiberio che Pisone negarono. Di fuori gridava il popolo: „Se i Padri l’assolveranno, egli non ci uscirà delle mani„ e spezzavano le sue immagini strascicate alle Gemonie, se il principe non le faceva salvare e rimettere. Fu messo in lettiga, e ricondotto a casa da un tribuno di coorte pretoria, chi diceva per salvarlo, chi per finirlo.
XV. Plancina era non meno odiata, ma più favorita; onde si sapeva quanto Cesare ne potrebbe disporre. Essa, mentre di Pisone fu qualche speranza, promettea correre una fortuna, e, bisognando, seco morire. Ottenuto per segreti preghi d’Augusta perdono, s’allargò dal marito, e divise la causa sua. Qui si tenne spacciato; pure, confortato da’ figliuoli a ricimentarsi fatto cuore, rientra in senato, e trova rinforzate l'accuse; i Padri sbuffare; contrario e terribile ogni cosa. Più di tutto l'atterrì il veder Tiberio saldo, coperto; non di misericordia, non d’ira far segno. Riportato a casa, scrisse alquanto quasi nuova difesa, e suggellato diedelo ad un liberto, e attese alla usata cura del