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LIBRO SECONDO 123

chi, che i principi non voglion figliuoli cittadini: trattavano di render la libertà, e ugualarsi al popol romano; perciò gli hanno levati via.„ L’avviso della morte riscaldò sì queste voci del popolo, che senza decreto nè bando, fu feriato, serrato porte, botteghe, finestre: tutto era orrore, silenzio, pianto, e da profondo cuore, oltre a tutte le dimostrazioni usate nei mortori. Certi mercatanti usciti di Sorìa quando Germanico migliorò, portarono questa nuova; incontanente fu creduta; fu sparsa: questi a quelli, essi a molt’altri, non bene intesa, sempre aggrandita, festosi la riferivano. Corrono per le vie; abbatton le porte dei tempj: la notte aiutava il credere; il buio l’affermare. Tiberio non s’oppose all’errore, ma lasciollo dal tempo svanire. Ripianselo il popolo più disperatamente, quasi toltogli un’altra volta.

LXXXIII. Trovati e ordinatigli furono onori quanti seppe ingegno e amore. Fosse il nome suo da’ Salj salmeggiato: postogli ne’ teatri sedie curuli incoronate di quercia; ne’ luoghi de’ sacerdoti d’Augusto, ne’ giuochi del Cerchio portata innanzi l’effìgie sua d’avorio: non augure, nè flamine rifatto in suo luogo se non di casa Giulia. Fatto gli archi in Roma, in riva di Reno, e in Sorìa nel monte Amano, con epitaffi delle sue geste, e come morio per la repubblica: sepolcro in Antiochia dove arso fu: tribunale in Epidafne ove spirò. Delle immagini, e luoghi per lui adorare non si raccorrebbe il novero. Fu proposto porgli il ritratto tra gli eloquenti in maggiore scudo e d’oro. Tiberio lo concedè come gli altri,

    nol senta; ma io ebbi paura de’Muzj; e me ne pento. Ripigli questa voce di qui suo vigore.