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LIBRO SECONDO 119

giogo alle Germanie, che già per tante vittorie le si accollavano, fu impedito; che se egli poteva far solo, se egli era re, come Alessandro tanto riportava il pregio dell’armi meglio di lui, quanto l’avanzò di clemenza, di temperanza e d’altre bontà. Il corpo, prima che arso, fu posto ignudo in piazza d’Antiochia, ove dovea seppellirsi. Non è chiaro se e’ mostrò segni di veleno; chi diceva: „Ei sono„, chi: „Ei non sono:„ secondo stringeva la compassion di Germanico, e il preso sospetto o il favore di Pisone.

LXXIV. I Legati e i senatori che vi erano, consultarono chi lasciare al governo della Soria. Poca ressa ne fecero altri che Vibio Marso, e Gn. Senzio. Vibio alla fine cedè all’età e più voglia di Senzio. Questi a richiesta di Vitellio, Veranio, e altri che formavano il processo contro i rei, quasi già accettati, prese una Martina, maliarda famosa in quella città, l’occhio di Plaucina, e mandolla a Roma.

LXXV. Agrippina ammalata, e dal pianger vinta, nimica d’indugio alla vendetta, s’imbarcò con le ceneri di Germanico, e co’ figliuoli; piangendo le pietre che sì alta donna, dianzi in sì bel matrimonio congiunta, festeggiata, adorata, portasse allora quelle morte reliquie in seno, non sicura di vendetta; in pericol di sè, e par tanti infelici figliuoli, tante volte bersaglio della fortuna. Pisone raggiunto da un suo fante nell’Isola di Coo, con la morte di Germanico, ammazza vittime, com a’ templi, folleggia per allegrezza; e Plaucina insolentisce, scaglia via il bruno per la sorella, ammantasi drappi gai.

LXXVI. Affoltavansi centurioni a dirgli, che le