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LIBRO SECONDO 117

ramenti, piastre di piombo scrittovi Germanico, ceneri arsicciate, impiastriccicate di sangue e altre malìe; onde si crede l’anime darsi alle dimonia; e incollorivasi de’ messaggi che mandava ora per ora Pìsone a spiare come egli stesse.

LXX. E mettevangli tali cose, oltr’all’ira, paura: „Sono assediato in casa, muoio in su gli occhi a’ miei nimici: che sarà di questa povera donna e pargoli figliuoli? La fattura non lavora tanto presto, ei non vede l’ora di tener solo la provincia, le legioni; ma io sono ancora vivo: la mia morte gli costerà.„ Detta una lettera; gli disdice l’amicizia1; e comanda (dicono alcuni) che sgomberi la provincia. Senza indugio Pisone s’imbarcò, e aliava d’intorno Soria, per rientrarvi tosto che Germanico fosse spirato;

LXXI. il quale prese un poco di speranza; indi mancate le forze, e giunta l’ora disse ai circostanti: „Se io morissi naturalmente, mi potrei dolere con gl’Iddii che mi togliessero a’ parenti, a’ figliuoli, alla patria, sì giovane, sì tosto; ma essendo rapito dalla sceleratezza di Pisone e di Plancina, lascio questi ultimi preghi ne’ vostri petti, che voi riferiate a mio padre e fratello, con quali acerbità lacerato, con quanti inganni tradito, io sia trapassato di vita miserissima a morte pessima. Se alcuni, o per le mie speranze o per essermi di sangue congiunti (e di quegli ancora che m’invidiavan vivo), lagrimeranno, che io in tanto fiore scampato da tante

  1. O antica bontà! Chi non voleva uno più per amico, lo faceva intendere; e che non gli capitasse più a casa. Non aveano doppio cuore: non voleano ingannare.