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LIBRO SECONDO 113

cittadella accanto. Trovaronvi le antiche prede dei Svevi: vivandieri e mercatanti nostri paesani, per le franchezze del traffico e per lo guadagno, obbliata la patria, fermatisi tra' nimici.

LXIII. Maroboduo abbandonato da tutti, non ebbe altro rifugio che alla misericordia di Cesare. In Baviera passò il Danubio; e scrisse a Tiberio, non da fuoruscito o supplicante, ma da chi e’ sole v’essere; Molte nazioni chiamarlo, come stato gran re; ma non volere altra amicizia che la romana. Cesare gli rispose, offerendogli in Italia stanza sicura e onorata, e partenza sempre libera, con la venuta. sotto la medesima fede; ma in senato disse: Non Filippo alli Ateniesi, non Pirro, nè Antioco al popol romano essere stati da temer tanto. Hacci quella diceria ove egli magnifica la grandezza di costui, la fierezza dei suoi popoli, la vicinanza d’un tanto nimica all’Italia, e l’arte sua nello spegnerlo. Maroboduo tenuto fu in Ravenna, quasi per mostrarlo comodo a rimetter nel Regno, se i Svevi armeggiassero. Ma egli non uscì d’Italia; v’invecchiò diciott’anni, e per troppa voglia di vivere, molta sua chiarezza scurò. Di Catualda fu il medesimo caso, e rifugio. Vibilio, capitano delli Ermunduri, non guari dopo il cacciò, ricevessi nel Foro Giulio, colonia della Gallia Nerbonese. Que’ Barbari, che accompagnaron l’uno e l'altro, per non metter simil razza nelle province quiete, fur posti oltre al Danubio tra’l fiume Maro e’l Cuso, e dato loro Vannio, di nazion Quado, che gli reggesse.

LXIV. Per tali avvisi, e per lo re Artassia, dato da Germanico alli Armeni, ordinarono i Padri che


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