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LIBRO SECONDO 107

sitissimi; e con eroico adulare gli portavano innanzi i chiari detti e fatti de’ suoi maggiori.

LIV. Andò in Eubea: passò in Lesbo, dove Agrippina fece il suo ultimo parto di Giulia. Vide nel fine dell’Asia Perinto, e Bizanzio città di Tracia; lo stretto della Propontide, e bocca del Ponto, per vaghezza di riconóscere quell’antiche famose contrade; e insieme ristorava, quelle province strutte per loro discordie e nostre angherie. Volendo nel ritorno visitare le divozioni di Samotrace1, ripinto da’ tramontani, vi costeggiò l’Asia, e que’luoghi per variata fortuna, e nostra origine, venerandi; e surse in Colofone per intender di sè da quell’oracolo d’Apolline Clario. Non donna v’è’, come in Delfo; ma sacerdòte di certe famiglie, le più di Mileto, il quale piglia solamente i nomi e il numero de’ domandanti: entra in una grotta; bee a una fonte sagrata: non sa leggere per lo più, nè poetare: e londe in versi alle domande cogitate i risponsi; e dicevasi aver cantato Germanico morte vicina con parole scure d’oracoli.

LV. Ma Pisone, per tosto cominciar sua opera, entra furioso in Atene, e la riprende agramente, dicendo: Troppi convenevoli, non degni del nome romano, essersi fatti (e pugnerà per fianco Germanico) non alli Ateniesi, che n’è spento il seme; ma a questo guazzabuglio di nazioni. Essi essere

  1. Venne di questa isola Dardano col Palladio in Frigia, ove fu Troia: onde uscì Roma, la quale di sì piccola origine salì in sì ampia fortuna. Molte parole del latino traspone il Lipsio correggendo questo luogo, una sola con bello avvedimento il Picchena: Igitur Asiam aliaque ibi varietate fortunae et nostri origine veneranda relegit, appellitque Colophona; e tutto torna benissimo.