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102 | DEGLI ANNALI |
tro a’ medesimi lo negò. Nondimeno fu mandato Druso, come dicemmo, a rappaciarli.
XLVII. Rovinarono in quell’anno dodici città nobili dell’Asia, per tremuoti venuti di notte, per più sprovveduto e grave scempio. Non giovava, come in tali casi, fuggire all’aperto, perchè la terra s’apriva e inghiottiva. Contano di montagne nabissate, piani rimasi in altura, lampi nel fracassìo usciti. Ne’ Sardiani fu la maggiore scurità; onde Cesare loro promise dugencinquantamila fiorini, e di quanto pagavano al fisco e alla camera, gli esentò per anni cinque. A’Magnesi di Sipilo toccò il secondo ristoro e danno. I Temnj, Filadelfj, Egeati, Apolloniesi, Mosceni, Macedoni, detti Ircani, Gerocesarea, Mirina, Cimene e Tinolo, piacque per detto tempo sgravar de’ tributi, e mandare a visitatali e provvedergli un senator pretorio, non consolare, come il governator dell’Asia era; acciò non competessero come pari, e s’impedissero: e fu eletto M. Aleto.
XLVIII. Questa magnifica liberalità pubblica fu rifiorita da Cesare con due altre private non meno care; diede la ricca redità d’Emilia Musa, morta senza testare, che andava nel fisco, ad Emilio. Lepido, che di tal famiglia parea; e quella di Patuleio ricco cavalier romano (benché a lui ne lasciasse una parte) a M. Servilio chiamato nel testamento primo, e non sospetto; e disse, che que’ gentiluomini riarsi meritavano cotali rinfirescamenti. Nè accettava reditadi se non se meritate per amicizia; quelle di sconosciuti, o che in dispetto d’altrui lasciavano al principe, ributtava.* Ma come egli sollevò l’onorata povertà di questi buoni, così privò del grado senatorio o permise lasciarlo, Vibidio Varrone, Mario