Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/108


LIBRO SECONDO 101

chieditor d’accordi con ambascerie e presenti, traditor della patria, cagnotto di Cesare, degno d’esser con più l’abbia spiantato che Varo non fu ucciso; se si ricordassero delle tante battaglie, i cui fini, con la cacciata finalmente de’ Romani, chiarire chi riportasse l’onor della guerra.

XLVI. Nè taceva Maroboduo i suoi millanti, e le vergogne d’Arminio; ma dando ad Inguiomero della mano in su la spalla, diceva: „Ecco qui la gloria de’ Cherusci. Per li costui consigli si è fatto ogni bene, e non di quell’animale d’Arminio, che se ne fa bello per aver tradito le tre legioni smembrate, e il capitano, che dormiva, con gran mortalità di Germani e sua ignominia, avendo ancora schiavi la moglie e il figliuolo. Ma io assalito da legioni ben dodici, capitanate da un Tiberio, mantenni alla gloria germana il suo fiore. Fecesi accordo onorevole: nè ci ha ripitìo, posciachè a noi sta se vogliamo di bel nuovo combattere, o senza sangue vivere in pace.„ Pugnevano l’uno e l’altro esercito, oltre alle dette, altre cagioni proprie, che i Cherusci e’ Longobardi combattevano per la gloria e per la libertà nuòva i quegli altri per accrescer dominio. Affronto non fu mai sì possente e dubbio: perciocchè l’uno e l’altra destro corno fu rotto: e rappiccavansi, se Maroboduo non si ritirava alle colline: segno che impaurì; onde i rifuggiti alla sfilata il piantarono. Se n’andò ne’ Marconianni, e domandò per ambasciadori a Tiberio aiuto. Rispose: Non poter aiuto contro a’ Cherusci chiedere a’ Romani, chi loro già con-

    popoli, da’ quali odiato, si ritirò in quella selva per fortezza Strabone, l. 17.