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185 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
il più sublime amore di patria andava compagno ai più grandi furori, il repubblicano Daunou si consolava dei mali della prigione meditando lo storico di Tiberio.
Quando poi compressa la rivoluzione, Napoleone imperatore si assise sulle rovine di essa, e vi rifabbricò il dispotismo, era naturale che si mutassero amori, e che tutti gli amanti delle libertà nuove e antiche cadessero in odio al novello signore. E Napoleone tutti li odiava: i presenti perseguitava, e gli antichi si studiava di fare apparire spregevoli. Egli che non avea paura di nessuno, ebbe paura di Tacito. Credeva che fosse irreverenza citare al tribunale della storia i padroni del mondo: si sdegnava che Tacito avesse detto male degli imperatori romani dei quali credevasi successore, e temeva che sull’esempio di Tacito vituperatore dei despoti antichi, altri prendesse a vituperar lui nuovo imperatore di Francia, e uccisore della libertà. Perciò si studiò di screditarlo e di farlo passare da mentitore. Si sdegnava coi traduttori, perseguitava gl’imitatori. Più di ogni altro provò gli effetti di questi sdegni imperiali Maria Giuseppe Chenier, il poeta della rivoluzione. Egli in ogni scritto avea dato sfogo al suo fiero odio contro il potere assoluto, e al suo amore ardentissimo di libertà: avea satireggiato i titoli e le vecchie cose che si rimettevano in credito; avea imitato eloquentemente Tacito nella tragedia intitolata Tiberio; e quello che più aveva contribuito ad eccitare contro di lui gli sdegni imperiali erano i versi in cui dicevasi che il nome di Tacito pronunziato fa impallidire i tiranni. Chenier fu dimesso dalla sua carica di ispettore degli studi, e non valsero interposizioni di amici. Il nome di Tacito portava a tutti sventura, e per esso fu proibito anche il Mercurio che aveva stampato un articolo di Chateaubriand. Ma